Nausea, mal di testa, ecco il mal di sushi: tutto quello che c’è da sapere sulla sindrome sgombroide

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E’ stato già ribattezzato “mal di sushi”, ma il nome giusto è: sindrome sgombroide.

Il concetto resta quello: nausea, mal di testa, rossore della pelle su viso e collo, nei casi più gravi anche edema della glottide con rischio di soffocamento. Ne può soffrire chi mangia tonno o altro pesce azzurro mal conservato.

E’ di oggi la notizia del moltiplicarsi dei casi a Milano.

Ma di cosa si tratta? Partiamo dai batteri. Esistono anche una serie di batteri, definiti istaminogeni, che non sono direttamente patogeni per l’uomo ma che possono determinare la “Scombroid poisoning”, cioè la sindrome sgombroide, causata dall’ingestione di pesci contenenti un elevato valore di istamina, un mediatore chimico ampiamente diffuso nell’organismo umano, in particolare nelle cellule coinvolte nelle risposte allergiche e immunitarie .

Sono coinvolte le specie ittiche che presentano nelle loro carni elevati livelli di istidina, come gli appartenenti alle seguenti famiglie: Scombridae: es. sgombro, tonno, palamita; Clupeidae: es. sardina, aringa; Engraulidae: es. alice; Coryphaenidae: es. lampuga; Pomatomidae: es. pesce serra; Scomberesocidae: es. costardella. L’effetto tossico dell’istamina non viene ridotto con la cottura, l’affumicamento, la marinatura o la surgelazione: questo va a rendere i prodotti contaminati particolarmente pericolosi per l’uomo, anche in quanto non si verificano modificazioni di natura organolettica del prodotto.

Di fondamentale importanza è la temperatura, che influenza notevolmente la quantità di amina prodotta: tra 6°C e 20°C, la sua formazione è addirittura maggiore di quella dell’ammoniaca, ritenuta comunemente il miglior indicatore del grado di freschezza del pesce. Le basse temperature sono invece in grado di ritardare la sintesi batterica dell’istamina anche in maniera considerevole. Le temperature ottimali si aggirano invece tra 20 e 35°C. Essendo volatile ed altamente termostabile, le elevate temperature come quelle di sterilizzazione raggiunte nei processi di inscatolamento non sono in grado di inattivare quella già formata.

La sindrome sgombroide. La sindrome viene spesso diagnosticata come reazione allergica alimentare, in quanto dal punto di vista clinico è in effetti simile. Le manifestazioni cliniche vanno a toccare diversi apparati: l’apparato gastrointestinale (nausea, vomito, diarrea), il sistema nervoso centrale (vertigini, cefalea), la cute (rush); in rari casi si possono osservare disturbi respiratori e ipotensione. L’inizio della sintomatologia è rapido (20-30 minuti dall’assunzione dell’alimento) e i disturbi, che nella maggior parte dei casi sono di lieve entità, si risolvono ugualmente in breve tempo, con una durata di meno 24 ore.

La diagnosi. La diagnosi si basa sulla sintomatologia e sulla storia di recente assunzione delle specie ittiche considerate a rischio. Anche il simultaneo coinvolgimento di più persone che hanno consumato lo stesso alimento ed hanno mostrato gli stessi sintomi depone a favore dell’avvelenamento da istamina. Il quadro clinico è in grado di indirizzare verso la diagnosi: la certezza diagnostica può però solo essere raggiunta attraverso l’analisi di laboratorio del cibo contaminato (che va comunque congelato in attesa dell’indagine).

Un contenuto normale di istamina, nelle specie ittiche sopra menzionate, è mediamente dell’ordine di 0,5-25 mg/Kg. La quantità di istamina in grado di provocare effetti patologici, in soggetti normopeso varia da 8 a 40 mg (lieve avvelenamento), da 70 a 1000 mg (disturbi di entità moderata). Quantitativi oltre i 1000 mg (per alcuni ricercatori oltre i 4000 mg) darebbero luogo a disturbi gravi.

L’igiene. Una buona igiene durante le operazioni di lavorazione e una precoce refrigerazione sono fondamentali per il controllo dello sviluppo dei microrganismi produttori dell’enzima in grado di trasformare l’istidina in istamina. Bisogna considerare che la contaminazione batterica può avvenire, anche dopo la pesca, in tutte le fasi della produzione dell’alimento, anche nelle fasi di distribuzione e somministrazione.

Conserve a rischio. Anche le conserve ittiche possono presentare quantità di istamina a volte più elevate del prodotto fresco per le manipolazioni che subiscono durante i processi di lavorazione o nelle successive fasi di distribuzione e somministrazione.

fonte: Repubblica.it