L’EDITORIALE/ I non vedo, non sento, non parlo che minano il nostro futuro

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“Il problema è di chi dovrebbe controllare e invece fa come le famose tre scimmiette – non vedo, non sento e non parlo – fin quando non arrivano Procura e Forze dell’Ordine. La speranza di questa terra è quella di liberarsi di questi pubblici amministratori infedeli”.

Questo diceva il capo della Procura di Avellino Rosario Cantelmo a commento dell’ennesimo scandalo che ha investito la città di Avellino.

Parole che si legano direttamente a quelle pronunciate da Piercamillo Davigo, pur citato da Cantelmo nel suo discorso: “La classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi. C’è stato un decadimento qualitativo della classe dirigente politica. Basta osservare la sintassi del dibattito politico. Il problema è che la classe politica che c’era allora non ha pensato alla successione”.

Insomma, per dirla alla Davigo: non rubano tutti, però rubano in molti, solo che non ci si vergogna più.

Ma per riprendere il discorso del Procuratore Cantelmo, non ci si rende conto che dove c’è incapacità di gestire la res pubblica, si condannano le generazioni.

Sono condannati i giovani e i giovanissimi che nonostante lauree e master si ritrovano a subire l’umiliazione della sconfitta perché si vedono superare da persone senza nessun merito maggiore, ma solo perché “… compari dei compari”.

Quale è stata la grande colpa della politica di questi ultimi decenni se non quella di sollazzare la pancia del Paese, appropriandosi della cosa altrui?

A partire da Tangentopoli ci siamo ridotti a ingurgitare di tutto, allegramente ridendo di questo e quello. Abbiamo cominciato a ridere negli anni ’90 e non abbiamo smesso neanche col Terremoto a L’Aquila. Ci resta un disappunto di circostanza e la sensazione che nessuno meriti il ruolo che ricopre.

D’altra parte, tutto questo è molto semplice da spiegare: ognuno – chi più, chi meno – sa dove andare a bussare quanto gli mettono una multa, ognuno prova a seguire la voce del potente di turno svendendo così il proprio ‘io’ sull’altare di un piccolo favore che il più delle volte favore non è ma un sacrosanto diritto non riconosciuto.

di Antonio Pirolo

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