Giornata contro la violenza sulle donne, il Prc si interroga

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Atripalda – In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne le rappresentanti in rosa del circolo P.R.C. ‘L. Libertini’ di Atripalda vogliono esprimere il loro contributo a questo tema su cui tutti si devono sentire coinvolti e ricordare la manifestazione nazionale che si terrà sabato 24 novembre a partire dalle 14,00 da piazza Esedra a Roma. “Per fortuna non ci sono solo fidanzati, mariti, amanti che uccidono le donne. Per fortuna ci sono anche uomini, ancora pochi, che pensano: “La violenza contro le donne ci riguarda”. Poche gocce nel mare del silenzio -‘omertoso’, ci verrebbe da dire -, che ostentatamente politici ciarlieri, intellettuali logorroici, oppongono alla verità più inquietante che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi, molto più subdola e più nascosta dell’ingiustizia sociale, dello sfruttamento economico, della devastazione dell’ambiente? No davvero! La goccia scava la pietra, dicevano i latini, ma oggi le poche voci che finalmente collocano stupri e omicidi di donne all’interno del dominio più duraturo della storia umana si trovano davanti una muraglia fatta di ignoranza, falsa neutralità, indifferenza o arrogante diniego. Leggendo i giornali, ascoltando i notiziari televisivi sugli ultimi delitti, che hanno come vittima una donna, colpisce l’evidente schizofrenia tra i dati statistici – i “numeri” della carneficina che oltrepassa ogni confine di tempo e di luogo- e la narrazione che gli scorre a lato, preoccupata di riempire dei particolari più morbosamente orrorifici la scena in cui poter collocare il ‘folle’ di turno. Ogni volta, con un rituale che dovrebbe far riflettere sulle ossessioni e sulle paure della nostra epoca, il ‘mostruoso’ emerge dalla ‘normalità’ di una casa, di una famiglia, di un paese, di una classe sociale, e sempre, anziché chiedersi che cosa nasconde quella facciata tranquilla di perbenismo, si sposta l’attenzione sul “raptus” momentaneo di follia che sottrae inspiegabilmente un individuo al suo ambiente, alla educazione ricevuta, alla sua appartenenza di sesso, ai suoi legami più intimi. Quelli che uccidono non sono solo i malati di mente, i marginali, i teppisti, i criminali noti, ma giovani “normali”, rispettosi e avviati a buona carriera. E il luogo primo di questo femminicidio è la casa, la famiglia, il luogo che sta in cima ai “valori” della retorica di destra, ma anche delle politiche sociali di una parte della sinistra, senza che nessuno si chieda se la violenza non nasca proprio da lì, da quei lacci familiari che, istituzionalizzando l’infanzia, perpetuano al medesimo tempo lo sfruttamento del lavoro femminile gratuito, la lontananza delle donne dalla sfera pubblica, la subordinazione al potere maschile dato come “naturale”, l’ideologia che le vuole eternamente madri. Se è vero che la crescita di autonomia delle donne è sentita come una minaccia, per chi ha creduto finora di poter disporre del loro corpo e della loro dedizione incondizionata, chi, se non gli uomini stessi, può cominciare a smascherare la falsa naturalezza di un dominio che si è fatto forte finora della separazione tra famiglia e società, della divisione sessuale del lavoro, del silenzio storico delle donne, o della loro difficoltà a farsi ascoltare, e che ancora oggi, astutamente, vorrebbe far passare la violenza di genere come un problema di ‘sicurezza’?”

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