Cassazione – ‘Non fai un cacchio..’: condannato un dirigente

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Roma – “In tema di ingiurie, affinché una doverosa critica da parte di un soggetto in posizione di superiorità gerarchica ad un errato o colpevole comportamento, in atti di ufficio, di un suo subordinato, non sconfini nell’insulto a quest’ultimo, occorre che le espressioni usate individuino gli aspetti censurabili del comportamento stesso, chiariscano i connotati dell’errore, sottolineino l’eventuale trasgressione realizzata – si legge nella sentenza dei giudici della Cassazione -. Se invece le frasi usate, sia pure attraverso la censura di un comportamento, integrino disprezzo per l’autore del comportamento, o gli attribuiscano inutilmente intenzioni o qualità negative e spregevoli, non può sostenersi che esse, in quanto dirette alla condotta e non al soggetto, non hanno potenzialità ingiuriose”. Con queste motivazioni, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la condanna per ingiuria nei confronti di un dirigente di una società capitolina che aveva criticato e contestato un dipendente durante l’orario di lavoro, sostenendo che non faceva nulla al lavoro con frasi sul tipo, “ che ca… ci sta a fà qua dentro, che nun fai un cacchio ..etc.”. Per queste ed altre frasi il datore di lavoro, è stato denunciato dal diretto interessato e condannato per ingiuria per aver ripreso il suo subordinato usando espressioni volgari in orario lavorativo.

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