Regionali, il peso politico (e il consenso) dell’UdC e di De Mita

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Alla fine saranno due liste. Perché, ieri come oggi, in Campania il potere – weberianamente inteso come capacità di attrarre consenso – passa per Nusco.

Lo dice la storia, recente, delle elezioni regionali in Campania, competizione da sempre avulsa dalle logiche partitiche più ampie che investono il Paese.

E’ stato così per il decennio in cui a governare in Campania è stato Antonio Bassolino; nella sua prima elezione, quella dell’anno 2000, grazie all’apporto dei Popolari e poi cinque anni dopo quando all’interno della coalizione che portò al successo il governatore diessino, si registrò il netto avanzamento della Margherita e quindi del leader De Mita che portò il partito ad essere la prima formazione all’interno dell’assise regionale superando (seppur di poco) il perno dell’allora centrosinistra (i Ds).

Così è stato anche nel 2010, quando l’UdC – con il 9,4 per cento (e picchi del 17 per cento in Irpinia) –, contribuì all’elezione di Stefano Caldoro e all’ingresso nel parlamentino regionale di sei esponenti. Meglio fecero solo i ‘big’, Pd e PdL.

Il resto (la débâcle del progetto montiano a livello nazionale ma non in regione) è storia nota.

In Campania però il discorso è diverso da sempre. Lo è in questa edizione delle Regionali ancora di più perché è qui che insiste uno dei feudi elettorali dell’UdC, l’Irpinia appunto, territorio che lo stesso partito scudocrociato – per volere dei suoi dirigenti territoriali – vorrebbe trasformare da laboratorio politico in esempio di comunità moderna che vive nella ricerca di quel filo rosso che riesce a tenere insieme il passato, il presente e il futuro della comunità stessa.

Un sogno, un obiettivo ma non un limite o un’illusione. Un progetto al quale tanti si sono aggrappati nel corso degli anni, salvo poi svincolarsi – per carità, anche legittimamente – alla ricerca di migliori fortune.

Certo, optare per le due liste potrebbe smentire lo stesso progetto nascente di Area Popolare anche se Nuovo Centrodestra e UdC, quando sono andati insieme, sembrano averlo fatto più per convenienza che convinzione (alle Europee per lo sbarramento, ad esempio). Il discorso cambia in Campania perché con due liste aumenterebbero le chances di successo per la coalizione di Caldoro. Ed è questa la linea condivisa anche dal deputato irpino dell’UdC Giuseppe De Mita, che qui in Campania ha raccolto l’eredità politica e storica (sì, anche il consenso) dello zio Ciriaco, oggi sindaco di Nusco.

Ed è qui che sorgono i distinguo, i se e i ma. D’altronde, non è più un mistero che non vi sia alcun feeling fra Ciriaco De Mita e il presidente del Consiglio regionale Pietro Foglia (eletto nelle fila dell’UdC e oggi Ncd).

Forse, sullo stato complessivo del rapporto Foglia-De Mita, è arrivato il momento di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità.

Non che i (legittimi) risentimenti non abbiano diritto di cittadinanza nelle cose della politica, anzi. Ma un divorzio politico non è esattamente quello che si consuma quando due coniugi prendono atto – per dirla con Majakovskij – che “… la barca dell’amore si è spezzata contro la vita quotidiana” e dove il bilancio finale dell’unione riguarda soprattutto “… l’elenco dei dolori, guai e torti reciproci”.

In politica è diverso: il bilancio riguarda esclusivamente il percorso che ciascuno dei due ‘divorziati’ è riuscito a fare dopo. Nel nostro caso, dopo il 31 maggio.

Al presidente del Consiglio regionale uscente toccherà il non facile compito di confermare il plebiscito di voti di cinque anni fa (ma erano altri tempi e Foglia, appunto, vestiva un’altra casacca di ben altro peso e blasone, quella dell’UdC).

Di contro, anche per quanto detto sopra, il bilancio preventivo dell’UdC e di De Mita e di chi ne raccoglie l’eredità in generale non è stato esaltante, almeno al netto delle ultime competizioni elettorali.

Però, indiscutibilmente, a De Mita – e in particolare al lavoro fatto dall’ex vicegovernatore Giuseppe De Mita in seno alla Giunta Caldoro – va riconosciuto che sul piano della pianificazione strategica sono stati centrati obiettivi di rilievo, come per il Patto per lo Sviluppo, la Napoli Bari, la piattaforma logistica, gli investimenti sulla banda larga e i risultati conseguiti con l’accelerazione della spesa.

Ma l’equilibrio ormai si è spezzato. Chi anche vorrebbe pensare di ricostruirlo puntando sulla lista unica, davvero non può pensare ad una new town di prefabbricati ma deve preoccuparsi di scavare fondamenta profonde partendo dalla memoria di quel che l’UdC ha realmente rappresentato ed incarnato. Senza demonizzazioni e senza esorcismi.

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