Mozzarella taroccata, maxi operazione in Campania: irpino coinvolto

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Avellino – Anche un irpino risulterebbe coinvolto nella maxi operazione eseguita in quasi tutta la Campania dal Comando provinciale dei Carabinieri di Caserta nei confronti di imprenditori del settore caseario, veterinari e biologi, responsabili di associazione per delinquere finalizzata alle sofisticazioni alimentari, con sequestri di beni di ingente valore. A finire nella rete degli inquirenti A. D. F., classe 1966 e originario di Guardia Lombardi. L’uomo è ai domiciliari, insieme ad altri 12 soggetti del casertano e del napoletano.

L’INCHIESTA. L’indagine, svolta dal 2011 al 2013, ha avuto inizio dall’approfondimento investigativo conseguente a un grave infortunio sul lavoro verificatosi in un noto caseificio di Sparanise nel 2011, nel corso del quale un operaio aveva perso le dita di una mano. L’incidente, che era stato segnalato dalla società come fortuito, nascondeva, invece, la manomissione di un macchinario, dal quale, al fine di aumentare la produzione, erano stati eliminati i sistemi di sicurezza per gli operatori.

Le investigazioni, basate soprattutto su intercettazioni telefoniche, e iniziate proprio per monitorare l’operaio che, dopo aver denunciato il fatto, aveva ritrattato le accuse (a fronte – come poi si sarebbe accertato – di offerta di danaro), ben presto si erano concentrate anche su altre condotte illecite, che a mano a mano venivano evidenziate dalle indagini e che risultavano afferire pressoché ad ogni aspetto dell’attività di impresa del caseificio.
L’organizzazione, riferiscono fonti investigative, aveva realizzato un sistema ben collaudato negli anni, che le ha consentito di raggiungere importanti traguardi economici, a discapito delle più elementari norme di sicurezza dei lavoratori e di tutela della salute pubblica. In particolare, gli esiti di plurimi prelievi effettuati dalla polizia giudiziaria sul prodotto commercializzato dal caseificio casertano, contrassegnato dal marchio dop (mozzarella di bufala campana dop), hanno permesso di verificare che al latte di bufala veniva abitualmente miscelato latte vaccino, in violazione del disciplinare adottato dal Ministero per le Politiche agricole a tutela della mozzarella di bufala, con conseguente frode in danno del consumatore.

Di ciò, come risulta dalle indagini, si sono rese conto anche importanti catene di distribuzione estere e, in particolare, francesi (Auchan e Monoprix) rifornite dal caseificio che, inoltre, pur essendo tenuto ad acquistare materie prime di provenienza certa – in ossequio alla normativa di settore che, a tutela della salute del consumatore, prescrive la tracciabilità del latte e dei semilavorati impiegati nel ciclo produttivo – provvedeva, in maniera pressoché sistematica, all’accaparramento anche all’estero di partite di latte e di cagliata, spesso molto scadenti, di cui veniva celata la provenienza, all’evidente fine di contenere i costi di produzione. In particolare, gli esiti dell’attività di indagine comprovano che i titolari del caseificio acquistavano abitualmente quote di latte e cagliata proveniente da Francia, Polonia e Ungheria, che facevano risultare di provenienza italiana, alterandone i documenti di trasporto. Il latte e le materie prime acquistate, inoltre, non venivano sottoposte ad adeguato autocontrollo sanitario (grazie alla compiacenza delle due biologhe dipendenti del caseificio), così come prescritto dalla normativa di settore, ma venivano impiegati nel ciclo produttivo (anche del prodotto dop) e, a volte, quando erano in eccesso, rivenduti a terzi, benché alterati.

Appaiono in proposito eloquenti gli esiti dei controlli effettuati a campione sul latte giacente presso i silos del caseificio, dai quali si è potuto evincere la sussistenza di una carica batterica notevolmente superiore (anche fino a oltre 2mila volte) rispetto a quella consentita dalla normativa vigente e tale da far ritenere il prodotto finale addirittura potenzialmente nocivo per la salute pubblica. Inoltre, è stato accertato anche l’utilizzo di un concime chimico impiegato in agricoltura (l’urea) per far aumentare la carica proteica del latte e migliorarne così la resa, in modo, cioè, da aumentare il quantitativo di prodotto realizzato con la medesima quantità di materia prima. Altre illiceità riscontrate dalla polizia giudiziaria attengono allo smaltimento dei rifiuti prodotti dal caseificio. Venivano smaltiti i residui della lavorazione dei prodotti caseari (siero e fanghi), scaricandoli, grazie a dei by-pass, negli impianti fognari o nei condotti che conducono ai fiumi ivi presenti. Malgrado scoperti, e pur a fronte dei ripetuti sequestri operati dalla polizia giudiziaria ai loro danni, hanno ogni volta reiterato la condotta, con pervicacia degna di miglior causa. Una così sistematica commissione di condotte illecite è stata resa possibile anche dalla complicità dei funzionari dell’Asl, addetti al controllo sanitario, nel caso di specie, in realtà, diventato poco più che simbolico. L’attività di indagine ha fatto emergere un quadro di rapporti fra controllori e controllati assolutamente inquietante, in virtù dei quali i due funzionari dell’Asl coinvolti non solo preannunciavano i loro controlli, ma preavvisavano i gestori del caseificio anche delle visite ispettive da parte di organi diversi (ad esempio, il controllo da parte della Commissione Europea) e addirittura partecipavano a riunioni che si tenevano presso il caseificio, aventi il precipuo scopo di ovviare agli inconvenienti presenti nella struttura.
Il Gip, su richiesta del pm, ha provveduto ad applicare, oltre alle misure cautelari personali, il sequestro preventivo dell’intera azienda del caseificio di Sparanise, nonché dei vari punti vendita.

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