Il caldo del camino acceso nel salone del palazzo di piazza Libertà, è lo stesso che trasmette, come di consueto, il vescovo di Avellino. Un bell’albero di Natale fa da sfondo ad una serie di importanti messaggi che monsignor Arturo Aiello vuol lanciare alla sua comunità che si appresta a trascorrere, per la seconda volta consecutiva, un periodo festivo tra la paura della pandemia e l’emergenza economica e sociale che ne è scaturita.
Ma il Vescovo cerca di infondere speranza, nonostante alcuni giusti ammonimenti. “In giro il Natale – dice – rischia di essere depauperato del suo contenuto più profondo. Si parla di tanti Natale però poi molti mettono in ombra il Natale del Signore. La nascita del Signore è come un punto di non ritorno, un punto positivo di non ritorno. Dopo quell’accadimento di duemila anni fa, non è più possibile tornare indietro: Dio sarà sempre amico dell’uomo e l’uomo sarà sempre amico di Dio, dal momento in cui l’uomo e Dio si incontrano nella carne del bambino Gesù”.
“E’ il Natale del Signore ma anche il nostro Natale, la nostra nascita sul piano personale, sul piano familiare, sul piano ecclesiale, sul piano sociale, sul piano mondiale: Dio sa quanto abbiamo bisogno di rinascere come comunità. L’augurio è che la nostra famiglia mondiale, globale, torni ad essere tale, intorno ai simboli del Natale, al bambino di Betlemme, intorno all’albero, per darci speranza, di cui abbiamo bisogno. La speranza è non andiamo verso la catastrofe, anche se dovesse esserci una nuova ondata pandemica, anche se siamo chiamati ad affrontare difficoltà personali, andiamo verso il meglio e non verso il peggio: questo è l’augurio cristiano”.
Il virus ha fatto esplodere, in maniera ancor peggiore rispetto agli anni scorsi, l’emergenza povertà anche nella nostra provincia. La diocesi di Avellino, con la Caritas, è sempre in prima linea per fronteggiare tutti i casi più urgenti e disperati. “Era già nelle previsioni che la pandemia acuisse il problema con un calo della ricchezza ed un aumento della povertà”, spiega vescovo Arturo. “Ormai anche le classi sociali di mezzo non fanno più da cordone di sicurezza, anch’esse sono cadute in una condizione di povertà”.
“Tutto ciò crea un’emergenza di soliderietà anche per la semplice sussistenza di tante famiglie, molte delle quali non hanno neanche il coraggio di chiedere aiuto, nonostante rischino di affondare definitivamente. Con la Caritas siamo al servizio di queste emergenze ma capite bene che, difronte ad un’emergenza così grande, non bastano sostanze a dargli concretezza. Però non ci scoraggiamo, perché parallelamente a questa emergenza, non da tutti, emerge un’attenzione all’altro. Il Natale diventa anche un’occasione ideale per aprire il cuore e non chiuderlo, anche nei confronti degli altri”.
Arturo Aiello rivolge un pensiero alle vittime della pandemia, “di quella guerra. La loro memoria deve essere un’apertura agli altri ulteriore”.
Si parla anche di quanto accaduto nella notte tra sabato e domenica, quando ad Avellino, all’Ultrabet di via Cannaviello, si è sparato di nuovo in mezzo alla gente. “Qualsiasi atto di violenza – sottolinea il Vescovo – anche quella alle donne, va allontanato, perché il messaggio di Natale è un messaggio di pace. Laddove non c’è la pace, non si da’ gloria a Dio”.
Il vescovo su un punto è fermo: “Spezziamo una lancia in favore della famiglia, perché se abbiamo retto nel lockdown è grazie alle famiglie. Rimane ancora oggi il luogo umano dove educare gli uomini e le donne ad incontarsi. E’ importante educare all’umanità, la famiglia rimane ancora il luogo ideale”.
Le chiese, invece, a detta del Vescovo, dopo il covid, non si sono più riempite come accadeva prima. “Quelli che si aspettavano il grande ritorno sono rimasti delusi, l’uomo è un essere abitudinario, sembra ci si sia abituati a fare a meno del sacro: corriamo allora un grande pericolo. Il vescovo ed i parroci sono particolarmente preoccupati di questo, ma anche i laici dovrebbero temere tutto ciò. La celebrazione eucaristica ha bisogno di un luogo, ha bisogno di una comunità, non può essere un bisogno da consumare privatamente”.
Un passaggio anche sui “buchi neri” post terremoto, vista anche la vicinanza al centro storico del palazzo vescovile. “Vedere, a distanza di più di 40 anni, luoghi simbolici, luoghi di appartenenza della città, ancora impalettati, genera qualche interrogativo. Quello che è il centro del capoluogo ormai non è più, questi luoghi rischiano di essere disabitati per sempre”.
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