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5 aprile, il giorno maledetto del grunge

“Meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”

1994: Si suicida con un colpo di fucile alla testa il leader dei Nirvana Kurt Cobain. Il corpo viene rinvenuto nella sua casa di Seattle. Tormentato dalla depressione e da problemi di droga, il ventisettenne Cobain aveva tentato il suicidio solo pochi giorni prima in un hotel di Roma dove si trovava con la moglie Courtney Love.

2002: All’età di trentaquattro anni si spegne Layne Staley, cantante degli Alice in Chains e dei Mad Season. Indimenticabile voce grunge, viene rinvenuto morto nel suo appartamento un paio di settimane dopo la morte. Il decesso è causato da un mix di droghe definito speedball.

Se ne sono andati lo stesso giorno a distanza di otto anni l’uno dall’altro. Due icone del grunge, due straordinari interpreti del rock mondiale, due personaggi che hanno messo a nudo la propria anima più di chiunque altro e che hanno incanalato la propria esistenza nei cunicoli misteriosi di una scura interiorità.

Sappiamo tutto o quasi tutto di Kurt Cobain ma sono due le cose che mi vengono in mente in un giorno elegiaco come questo: Kurt che respira profondamente e che spalanca i suoi occhi azzurro mare prima dell’ultimo grido disperato di “Where did you sleep last night”, Mtv Unplugged dei Nirvana; l’ironia, la voglia di ridere, la geniale stranezza che emergono nei tanti video bootleg del gruppo di Seattle in cui lui si diverte a “cazzeggiare” senza riserve. Il lato fin troppo umano di una star che star non voleva essere e che ha lasciato al mondo il testamento di una realtà, il Seattle sound, che non tornerà mai più.

La fine di Layne, invece, è stata una fine per consunzione e per definirla possiamo ancora una volta tranquillamente attingere all’Unplugged Mtv. L’essenza acustica del grunge ne dà una versione raffinata e graffiante ed il frontman degli Alice in Chains, durante quella indimenticabile esibizione, con la sua posa inerte, schiacciata dal peso di una storia che emerge dappertutto nei suoi testi, lasciava trasparire l’assenza di spazio ed una stanchezza fisica accentuata dall’uso di droghe. Quel concerto fu ipnotico e devastante dal punto di vista emotivo per animi sensibili, uno spaccato di umanità nichilista ed autodistruttiva, intrecciato col tessuto musicale e nascosto da profondi occhiali scuri.

Il grunge è stato a suo modo una moda con camicie a quadri, flanella, maglioni larghi e un po’ sdruciti e “fottuta strafottenza” rispetto a quel tipo di sistema. Eppure, forse, in quell’ambiente, si sono tutti sentiti prigionieri delle proprie debolezze. Kurt e Layne se ne sono andati lo stesso giorno. Si sono passati il microfono, nella morte, ed hanno cantato a modo loro l’ultima strofa fatale. E se ne sente ancora l’eco.

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