17.400 euro: ecco il prezzo della strage di Acqualonga: Lametta aveva l’obbligo di impedirla

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Renato Spiniello – 2.400 euro per la sostituzione dei pneumatici e una spesa tra i 10.000 e i 15.000 euro per il ripristino strutturale del veicolo. Ecco quanto sarebbero costati a Gennaro Lametta, titolare dell’agenzia “Alam Viaggi”, gli interventi di manutenzione del bus finito nella scarpata la sera del 28 luglio 2013. Una strage, tra le più gravi d’Europa, che causò la morte di 40 persone.

Lo si apprende dalle motivazioni della sentenza pronunciata lo scorso 11 gennaio, quando il giudice monocratico del Tribunale di Avellino, Luigi Buono, aveva condannato lo stesso Lametta a 12 anni di reclusione. Quest’ultimo, lo si legge chiaramente nelle motivazioni, aveva l’obbligo di tutelare l’incolumità fisica dei passeggeri di quell’autobus e invece ha realizzato più condotte omissive colpose che hanno contribuito a causare eventi che aveva l’obbligo di impedire.

Contribuito appunto, perché oltre alle pessime condizioni in cui si trovava il veicolo al momento dell’incidente, con pochissimi interventi di manutenzione, una revisione omessa e due virtuali e pneumatici vecchi di cinque anni, anche la condotta del fratello di Lametta (Ciro, l’autista del pullman morto nello schianto), che avrebbe dovuto fermarsi quando, durante il percorso in salita e prima del guasto fatale, i passeggeri gli avevano segnalato i rumori provenienti dagli organi di trasmissione dell’autobus, è stata tra le cause concorrenti della strage, così come lo stato di corrosione dei tirafondi della barriera New Jersey posizionata sul viadotto Acqualonga che ha comportato che la stessa non reggesse l’urto.

Motivazione che è costata la condanna in primo grado anche al direttore di tronco Paolo Berti e ai dirigenti di Autostrade Michele Renzi, Nicola Spadavecchia, Bruno Gerardi, Gianluca De Franceschi e Gianni Marrone. Allo stesso tempo è risultata colpevole per la giustizia di primo grado la funzionaria della Motorizzazione civile di Napoli Antonietta Ceriola (“L’autobus non sarebbe stato controllato, ma avrebbe egualmente conseguito, grazie a funzionari della Motorizzazione civile disposti ad attestare il falso, il tagliando da apposto sulla carta di circolazione”), mentre è stato assolto l’operatore Vittorio Saulino, difeso dall’avvocato Antonio Rauzzino.

Queste, insomma, le motivazioni di quella sentenza che non ha di certo portato pace nell’animo dei parenti di quelle 40 vittime, le cui grida di rabbia ancora riecheggiano nell’aula di Corte d’Assise di Palazzo di Giustizia, quando a inizio 2019 il giudice ha pronunciato la sentenza.